Complessità crescente vs. management e consulenza old-style: cosa non funziona... e perché
In un mondo lavorativo che cambia, evolvono anche le dinamiche di resistenza al cambiamento
Original in Italian; automatic translation into English available here.
Intro
Siamo in un mondo che corre.
Forse è per via dell’iperconnessione e degli onnipresenti social; oppure per colpa di una tecnologia che evolve a ritmi frenetici e di cui è difficile tenere il passo; o ancora, sono i postumi di una pandemia (a cui non potevamo essere pronti) o gli effetti di un clima di tensione internazionale (a cui non eravamo più abituati).
Sia quel che sia, la frenesia è sempre più il nostro quotidiano.
Anzi no, non si tratta di frenesia: è una complessità crescente che ormai caratterizza tanti aspetti della nostra vita, in cui le possibilità a disposizione sembrano infinite e le scelte da compiere sono sempre più frequenti.
Da questo punto di vista, il mondo delle aziende riflette bene questo contesto generale: colossi in competizione serrata, startup pronte a presentare il latest and greatest in qualsiasi ambito, la costante impressione che da qualche parte nel mondo ci sia una novità dirompente per il proprio settore (quale che sia).
Il risultato di questa FOMO, sia per esperienza diretta che per tante vicende che leggo o che mi vengono raccontate, è che abbiamo sempre l’impressione di correre. Magari lungo una direzione che può non essere sempre chiara o coerente.
Il mondo del lavoro sta correndo… davvero
Un motivo reale c’è, e non si tratta solo di una percezione: la velocità del cambiamento sta davvero aumentando. In altri termini, siamo in una fase di chiara accelerazione.
Ci sono tanti indicatori in questo senso. Basti pensare al tempo richiesto a piattaforme e siti internet per raggiungere un milione di utenti.
Naturalmente, la possibilità di raggiungere molto velocemente milioni di utenti (e/o clienti) sta portando ad una polarizzazione crescente verso chi rende possibile tutto ciò.
L’anno scorso fece scalpore il post di un ingegnere di Airbnb (non un manager, ma un semplice, bravo individual contributor) in cui rappresentava il proprio percorso di retribuzione. Oltre 500.000$ annui a poco più di 30 anni, per un ragazzo sicuramente in gamba ma normale: inconcepibile in Italia, ma francamente per nulla sorprendente per chi ha un minimo il polso della situazione oltreoceano.
E sì, ci sono stati licenziamenti anche abbastanza brutali nelle Big Tech: ma vanno visti in funzione dell’over-hiring degli anni precedenti.
Pressioni crescenti
Ritornando nella Vecchia Europa e alle aziende tradizionali, è inevitabile che molti sentano pressioni.
Le aziende che hanno registrato le più grandi crescite negli ultimi 20 anni sono riuscite in questo percorso anche grazie ad investimenti ingenti in giovani dalle spiccate competenze tecniche, ma sarebbe superficiale fermarsi a questo livello. A fare realmente la differenza sono il top management, ma soprattutto i cosiddetti Engineering Manager, figure di alto profilo sia manageriale che tecnico, in grado di guidare adeguatamente i suddetti giovani talenti.
C’è poco da discutere sulla centralità di questi EM nella strategia delle Big Tech.
Di contro, ci sono due tipologie di soggetti che hanno poco spazio nelle aziende di cui sopra:
I manager tradizionali, quelli che amo definire i manager general purpose, che nel 2023 vogliono applicare logiche, processi e soprattutto una mentalità del secolo scorso, senza portare una competenza specifica in un determinato settore;
Il loro partner prediletto, le società di consulenza generalista, che oggi più che mai soffrono la complessità crescente e l’importanza del contesto: è finita (o almeno, dovrebbe esserlo) l’epoca di soluzioni plug-and-play, calate dall’alto (o meglio, dall’esterno) e magicamente in grado di risolvere tutti i problemi. Per un motivo semplice: non esistono.
Sul primo punto, avevo trovato illuminante un talk di Steve Jobs del 1985 (sì, non proprio ieri), che spiegava l’inadeguatezza dei professional managers per un’azienda come Apple.
They knew how to manage… but they didn’t know how to do anything! And so, if you’re a great person, why would you wanna work for someone you can’t learn anything from?
Il punto è che oggi tutte le aziende con un minimo di ambizione devono essere come era Apple nel 1985.
Mentre sul secondo punto, citerò sempre uno Steve Jobs di una trentina di anni fa.
Without owning something, over an extending period of time, like a few years, where one has the chance to take responsibility for one's recommendations [...] and accumulate scar tissue for the mistakes [...] one learn a fraction of what one can.
Making recommendations and not owning the results and the implementation is a fraction of the value, and a fraction of the opportunity to learn and get better.
Dinamiche distruttive di due tipi
Si può dire tutto, ma non che le due tipologie di soggetti citati sopra non siano perfettamente consci della situazione: manager e consulenza tradizionale devono cambiare.
E il fatto che il terreno di gioco stia cambiando velocemente è sicuramente una grande occasione per farlo in meglio.
Purtroppo non sta andando sempre così: il rischio è che, anziché un percorso di miglioramento, si generino invece una serie di dinamiche difensive e poco efficaci che portano, in ultima istanza, ad un peggioramento della qualità del lavoro e quindi del successo di una società.
Un post di qualche giorno fa su Linkedin mi ha aiutato a mettere a fuoco queste dinamiche, che si concretizzano in due situazioni molto diverse tra loro, ma accomunate da una voglia di difendere lo status quo.
Due sono le cose che possono verificarsi:
Il disegno di una visione ambiziosa, da parte di management e consulenti generalisti con grandi aspirazioni ma nessuna capacità di esecuzione, nella speranza che la “forza lavoro” possa in qualche modo auto-strutturarsi per raggiungere un obiettivo
La definizione di schemi e processi tanto rigidi quanto complessi e burocratici, secondo una visione tayloristica del lavoro (con buona pace della tanto sbandierata agilità)
Penso che le due dinamiche sopra caratterizzino tipicamente funzioni aziendali distinte, più orientate al change nel primo caso e al run nel secondo.
E sono sicuro che molti lettori abbiano vissuto uno o entrambi gli scenari. I più ingenui penseranno che siano strategie. I più navigati capiranno che è qualcosa di più atavico: spirito di sopravvivenza e resistenza al cambiamento.
Possibili risultati
In un mondo in cui convivono complessità crescente da un lato, e un approccio tradizionale al management e alla consulenza, lo stile di leadership ha un profondo impatto sui risultati finali, nei due scenari delineati sopra.
Se l’approccio è orientato alla delega, il rischio è che l’unico risultato sia confusione, frustrazione e irritabilità di chi operativamente si trova coinvolto in un progetto/attività. Non c’è da attendersi un lavoro di alto livello, sia in termini di quantità che di qualità.
Viceversa, manager più direttivi possono portare ad apatia, cinismo, scaricabarile e costante ricerca del colpevole. Questo può anche portare a lavori di quantità, ma sicuramente di qualità pessima.
Il problema di fondo è che in entrambi i casi, l’esito è la completa perdita di soddisfazione nel proprio lavoro, quella ownership che per me è un mix di responsabilità e orgoglio in quello che si sta facendo, e che in ultima istanza è ciò che permette di far andare avanti un’azienda complessa.
Si parla tanto delle difficoltà di retention nelle aziende. Io mi sento solo di dire che essere messi nelle condizioni di avere ownership di qualcosa dà slancio e permette di passare sopra a tanti altri aspetti.
O almeno, questo vale per chi sa fare, per davvero.
Conclusioni
Ho sempre creduto nella competenza; l’accelerazione tecnologica degli ultimi anni sta solamente mettendo ancora più enfasi sulla capacità di aggiornarsi, reinventarsi, acquisire nuove conoscenze e imparare rapidamente a fare cose nuove.
Negli ultimi 30 anni, internet ha esteso l'accesso alle informazioni. Qualcuno sperava che questo riducesse le disuguaglienze: in realtà si è solo ampliata la forbice tra chi ha voglia e capacità di acquisire sempre più informazioni, e chi no. ChatGPT e gli ultimi sviluppi nel mondo dell’Intelligenza Artificiale rischiano di proseguire in questo solco.
E il mondo (lavorativo) non può restare a guardare: cambierà, generando da un lato tante opportunità, ma anche tante difficoltà.
Io vedo il bicchiere mezzo pieno: c'è la possibilità che tutti gli sviluppi tecnologici abbiano un impatto positivo sia sulla Società nel suo insieme, sia sulle singole società inteso come realtà aziendali.
È inevitabile che questo richiederà a molti di reinventarsi, rimboccandosi le maniche, studiando e crescendo; di contro, ci sarà chi metterà in piedi dinamiche poco sane di difesa di posizioni acquisite, magari mascherate da strategia. Faccio il tifo per i primi.
Complimenti!
Fantastico!