AI, chatbot e customer care: cosa succede in Asia?
Un mondo completamente diverso, ma con problemi straordinariamente simili
Original in Italian; automatic translation into English available here.
Intro
Sin da piccolo, sono sempre stato affascinato dall’Oriente: un mondo lontanissimo dal nostro, a livello culturale prima ancora che geografico.
E recentemente mi sono imbattuto in una frase - quantomai profetica -attribuita a Napoleone Bonaparte e diventata anche il titolo di un saggio del 1973 di un politico francese:
Quand la Chine s'éveillera… le monde tremblera
A parte l’ex gigante addormentato cinese1, l’Asia è costituita da tante nazioni estremamente popolose: oltre all’India (testa a testa con la Cina in termini di popolazione), può stupire il fatto che quarto e quinto paese al mondo per popolazione non siano nazioni come Brasile o Nigeria, bensì altri due stati asiatici: Indonesia e Pakistan2.
Il risultato è che circa il 60% della popolazione mondiale vive in Asia.

Chi non ha mai messo il piede fuori dall’Europa o comunque dall’Occidente può far fatica a metterlo a fuoco, ma questi quasi 5 miliardi di persone stanno seguendo dei percorsi di evoluzione tecnologica paralleli al nostro, spesso con soluzioni che riguardano solo ed esclusivamente l’Oriente. Con tante differenze tra Cina, India e il sud-est asiatico.
Per fare un esempio dal mondo professionale che vivo quotidianamente - quello del pagamenti - queste sono le opzioni che mi sono trovato davanti per acquistare un volo interno in Malesia, dove sono stato di recente:
A parte le carte di pagamento dei più noti circuiti internazionali, potete vedere tecnologie e soluzioni ignote in Europa, nate nell’ultimo decennio; sono adottate capillarmente sia online che nei singoli negozi fisici, sia in una città cosmopolita come Kuala Lumpur che nel più remoto Borneo malese.
Insomma, c’è un mondo parallelo che cresce a ritmi frenetici, con una popolazione molto giovane che sta spingendo l’adozione delle nuove tecnologie e tante startup innovative che stanno rapidamente stravolgendo (e accelerando) lo sviluppo delle economie locali.
Tutto il mondo è paese?
Parlando di AI, non racconterò come l’Europa sia imbrigliata in complessi scenari normativi, mentre l’Asia sta prendendo il largo. E nemmeno entrerò nel merito di come le super-app, soluzioni mobile first che abbracciano servizi di tante tipologie diverse, siano la normalità in Oriente, mentre da noi faticano ancora.
Vi racconterò invece la mia esperienza diretta con un chatbot AI-based malese.
Incredibilmente, in questo universo parallelo asiatico, è stata estremamente familiare: non tanto per l’interfaccia o le soluzioni tecnologiche, quanto per il percorso di adozione da parte dell’azienda (su cui poi mi sono documentato) e per il risultato finale che ha generato in me. Piccolo spoiler: frustrazione pura!

Partiamo dalla mia esigenza: capire come spostarmi a corto raggio in un paese dove le soluzioni di ride-hailing spopolano. Intendo dire app come Uber (che però non è presente in Malesia), che permettono di inserire la destinazione desiderata, per poi avere un prezzo e un tempo di attesa precalcolati (comodissime anche per superare barriere linguistiche).
Da una rapida ricerca online ho subito trovato svariate soluzioni, tra cui:
La soluzione Ride di AirAsia, ben documentata sul loro sito web
Anche se le prime due, come ho poi visto sul campo, sono sicuramente le più diffuse, la mia attenzione è caduta sulla terza opzione. Del resto:
AirAsia è un colosso (in primis del volo: con oltre 220 aerei e 60 milioni di passeggeri all’anno, è poco più piccola di Easyjet e in linea con Wizzair)
Negli ultimi anni ha sviluppato una super-app molto nota, che permette di fare di tutto (tra cui appunto la mobilità on-demand, oltre a voli, hotel, delivery, etc.)
Avevo già un account, creato una decina di anni fa in occasione di un mio viaggio in Indonesia
Customer care: chiedi a… boh?
Dopo aver recuperato (incredibilmente) utenza e password, mi sono quindi loggato sull’app: credenziali valide, ma purtroppo niente opzione Ride. Come ho poi ricostruito, il mio (vecchissimo) account, con tanto di email e numero di telefono, era ancora legato all’Indonesia, paese in cui non è attivo il servizio di ride-hailing.
Purtroppo si parla di un settaggio non modificabile in autonomia e presente solo su vecchi account. Cancellare l’account non era un’opzione comoda (tempi incerti e nel mentre avrei dovuto usare un’altra email e telefono) e allora sono entrato nel fantastico mondo del servizio clienti malese.
Fino a fine 2018, AirAsia disponeva di un contact center tradizionale, con telefono ed email per supportare i clienti. Contatti che sono ancora reperibili online, ma che non sono più esistenti (almeno per quanto riguarda la mail), come ho testato direttamente:
Nel 2019, AirAsia ha lanciato AVA (AirAsia Virtual Allstar), un chatbot che già 6 anni fa era definito powered by AI, con supporto a 8 lingue tra cui l’inglese. All’integrazione nel 2020 con Whatsapp sono seguiti un paio d’anni dove il chatbot è diventato l’entry point principale della compagnia, non senza frustrazione e lamentele da parte di molti utenti.
E qui il colpo di scena.
Dopo 4-5 anni, AVA è stato prepensionato, con un articolo della stessa AirAsia che inizia con “vi abbiamo ascoltato”. Al suo posto… un nuovo chatbot, AskBo.
Dove “Bo” è Bo Lingam, il CEO di AirAsia! E il bot stesso ha esattamente le sembianze del CEO.

KPI stellari: l’operazione è riuscita, il paziente è morto
Ho usato AskBo più volte, nel tentativo di risolvere il problema. Anche perché una sera l’ho presa un po’ come una sfida personale (persa).
Cosa ho fatto:
Ho iniziato diverse conversazioni scritte, sempre in inglese, spiegando il problema in più modi, ma ottenendo sempre risposte generiche.
Ho cercato una mail a cui scrivere: l’unica che sembra sopravvissuta è quella del DPO (il Data Protection Officer), immagino per motivi normativi. Ok che il mio è un problema di dati, ma ho ritenuto che non fosse il caso di usare il DPO come contact center.
Ho cercato di “uscire” dai loop infiniti del chatbot, in modo da parlare con un operatore umano: non ce l’ho fatta.
In tutto questo, già mi immagino i KPI che ho contributo a migliorare:
È salito il contatore delle “conversazioni gestite dal chatbot”
Nessuna conversazione è stata inoltrata ad un operatore umano (se esisteva un modo, io non l’ho trovato)
Non è peggiorato nessun indicatore di soddisfazione tipo NPS (nessuno mi ha chiesto nulla)
La permanenza sul sito di AirAsia si è allungata
E potrei andare avanti con la lista dei tanti indicatori che saranno sicuramente monitorati… e distorcono la situazione.
Conclusioni
Alla fine… ho installato Grab, il competitor numero 1 di AirAsia Ride.
L’ho usato una dozzina di volte, anche per diverse tratte abbastanza lunghe: molto soddisfatto dell’esperienza. La disponibilità di queste soluzioni (che in Malesia coesistono con i taxi tradizionali) sicuramente mi ha permesso di vedere posti che avrei faticato a raggiungere e… mi ha fatto spendere qualche ringgit malese in più, come giusto che faccia un turista.
La vicenda è interessante e vedo due lezioni facilmente applicabili anche in contesti occidentali.
La prima è che i player tradizionali hanno una base clienti importante che, anche solo per inerzia, li considerano la prima scelta. È un asset straordinario, ma bisogna mantenere la vicinanza al cliente e non rendergli la vita troppo difficile. Un chatbot implementato male - poco importa se con nome e faccia del CEO - va proprio in questa direzione sbagliata. Personalmente, avrei evitato di fare un altro account che non riuserò più per anni, ma non ho avuto alternative (e dubito che qualcuno se ne sia accorto, nella prima azienda che ho di fatto abbandonato).
La seconda è che il problema non è l’AI: oggi esistono tutte le tecnologie per facilitare davvero l’assistenza ai clienti. Il problema è un trio di fattori: la strategia (spesso guidata da persone troppo lontane dalla tecnologia e dai dati), l’implementazione (che è l’aspetto fondamentale e non un tema su cui andare al risparmio) e i dati (al di fuori delle demo di laboratorio, la difficoltà sta sempre nei corner case reali, dove magari ci sono informazioni, storia e conoscenza non perfettamente codificati e quindi non comprensibili dall’AI).
Insomma, anche a più di 10.000 km di distanza dall’Italia, l’AI e i suoi problemi reali non sono poi così lontani!
Si veda l’articolo corrispondente su Wikipedia francese. La frase può essere tradotta così: “Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà”.
Nei primi 5 stati al mondo per popolazione, solo gli USA (terzi) non sono asiatici.
molto bell! Bravo
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