Making AI uncool again - Parte 3: gestire progetti e aspettative
Elementi chiave per delineare bene il campo da gioco
Original in Italian; automatic translation into English available here.
Intro
Oggi 30 novembre 2024 è un compleanno importante nel mondo dell’AI: sono passati due anni da quando l’intelligenza artificiale è diventata mainstream grazie a ChatGPT.
Sono stati due anni molto veloci, in cui siamo passati attraverso diverse fasi:
Stupore: anche gli addetti ai lavori come il sottoscritto, da anni immersi nel mondo dei dati e dell’AI, sono rimasti a bocca aperta dal salto quantico che è stato fatto. Avevamo percepito che Attention is all you need e l’architettura lì presentata (i transformers) avessero grandi potenzialità; BERT, XLNET ed altri modelli già erano stati un grandissimo passo in avanti rispetto ai precedenti modelli di NLP; ma da lì a vedere all’opera una soluzione come ChatGPT, il salto è stato comunque enorme.
Realizzazione: dopo qualche settimana di gioco, tra paper generati dall’AI sui benefici di mangiare frammenti di vetro e la conferma che 2+5 fa 8 (se lo sostiene tua moglie che ha sempre ragione), abbiamo effettivamente capito che c’è molto di più. L’intelligenza artificiale, con le opportune attenzioni, può entrare efficacemente nella nostra vita personale e professionale di tutti i giorni, passando dalla porta principale.
Organizzazione: il mondo del lavoro ha iniziato a strutturarsi, in tante maniere differenti. Sono nate veloci startup di prodotto, costruite sui mattoncini dell’AI (gli LLM esposti via API) ed in grado di indirizzare bisogni molto specifici; i business consolidati hanno lanciato programmi aziendali per l’adozione dell’AI; tanti altri player (dalle università, ai centri di ricerca, alle PMI) hanno messo l’AI in prima fila.
Hype o non hype?
Siamo ora in una fase in cui si vogliono vedere i primi risultati, con esiti variabili. Ho già parlato di un paio di aspetti uncool che vanno capiti se non si vuole fallire: la gestione del debito tecnico, da trattare come una priorità, e la dinamicità del modello dei costi dell’AI, da comprendere ed affrontare in maniera agile.
Oggi voglio dare qualche spunto sulla gestione dei progetti e soprattutto delle aspettative… che sono tante.
Ci sono varie correnti di pensiero sull’hype che circonda l’AI ed io credo fortemente nelle parole di Eric Schmidt. Parliamo del CEO di Google dal 2001 al 2011, uomo fondamentale per far scalare la Google del duo Brin e Page. Non un visionario alla Steve Jobs, ma una persona con una profonda comprensione del mondo (tech e non solo) e grande concretezza.
E lui dice:
I hate to tell you, but this stuff is underhyped
Vi consiglio per intero questa sua intervista di pochi minuti. Penso che tanti concorderanno con me che la sua competenza e padronanza sono palpabili.
I punti chiave da mettere a fuoco sui progetti di AI
Penso che oggi più che mai, in un fase di adozione dell’AI, sia fondamentale creare un terreno condiviso tra chi sviluppa soluzioni basate sull’AI e i propri stakeholder. Mettiamola così:
È giusto avere alte aspettative, ma bisogna avere le aspettative giuste.
Sono quattro i punti che penso sia cruciale mettere a fuoco.
1. I progetti di AI sono innovazione: non si può partire dai risultati
È vero che ChatGPT ha raggiunto un milione di utenti in pochi giorni, è vero che la tecnologia evolve alla velocità della luce, è vero che gli investimenti nell’AI sono incredibili: ma almeno per quanto riguarda l’AI generativa, parliamo sempre di innovazione che va tipicamente integrata in contesti più consolidati.
Ci sono tanti aspetti che uccidono l’innovazione: uno di questi è l’idea di poter misurare qualsiasi cosa, senza incappare nella legge di Goodhart. Pur essendo io un amante di dati e numeri, penso che in certi momenti (specialmente quando si lavora con tecnologie ancora agli albori), la visione di medio-lungo termine debba avere la meglio su maldestri tentativi di misurare impatti (tipicamente economici) nel breve termine.
Non dimentichiamo il compleanno con cui ho aperto l’articolo: l’AI generativa è ancora nella sua infanzia1 e la sua gestione afferisce pienamente al campo dell’innovation management, almeno per ora.
2. Competenza, visione e leadership tech sono la chiave
Come dice Satya Nadella, in questa fase è fondamentale scremare tra tanto rumore (interno ed esterno), andando ad individuare il vero segnale. Sono in grado di fare questo le poche persone che:
hanno un livello tale di competenza da essere in grado di portare chiarezza in un contesto molto dinamico (e con tanti venditori di fumo!)
sono generatori di energia, per sé stessi e gli altri
alla fine, trovano il modo di far succedere le cose, in mezzo a tutte le difficoltà e complessità
Sconfiniamo qui nel tema della tech leadership: non mi ripeto, anche perché ne ho già parlato in più di un’occasione, ad esempio nell’articolo più letto tra quelli che ho scritto finora qui su All About Data.
3. L’AI non è bianco o nero… si adotta per gradi
Uno degli aspetti che distingue chi conosce l’AI sul serio e chi no è l’approccio quantitativo.
Specie chi viene dal mondo dello sviluppo applicativo tende a vedere l’AI come una sorta di feature binaria: una funzionalità che si può avere oppure no, una spunta da mettere su una checklist.
L’adozione dell’AI invece avviene per gradi e ha performance che possono essere enormemente diverse: è importante cercare delle misure il più possibile incontrovertibili sulla qualità del funzionamento dell’AI. E quindi in pratica:
Per quanto riguarda i modelli di base, possiamo fare riferimento a tanti benchmark. Non è certamente una soluzione perfetta (il rischio è che alcune AI siano allenate proprio con un occhio di riguardo verso quei benchmark), ma è già meglio di niente;
Quando si tratta di integrare l’AI in sistemi già esistenti, bisogna cercare misure (tecniche o di business) che ne rappresentino adeguatamente il successo. In modo da poter poi iterare, secondo un approccio classico per chi si occupa di innovazione.
In tutto questo, serve ovviamente parecchio senso critico.
Recentemente ho assistito alla presentazione di un assistente AI in grado di gestire correttamente il 90% delle richieste, numero mostrato come un successo. Peccato che ovviamente non si possa sapere a priori se la risposta ad una nuova domanda ricada in questo 90%: forse la situazione andrebbe inquadrata diversamente, ad esempio cercando di capire se un 10% di risposte inadeguate è accettabile!
4. Impatto e visibilità sono scorrelati
Da ultimo, c’è un tema di visibilità.
L’AI può essere in primo piano, come nel caso di ChatGPT e affini, guadagnandosi riflettori e titoli sui giornali. Ma io penso che molti use case di grande impatto oggi sfruttino l’AI in maniera completamente invisibile al grande pubblico: pensiamo a qualsiasi testo o qualsiasi immagine che troviamo su Internet, che oggi potrebbe essere (in realtà) generata dall’AI, oppure ai tanti algoritmi che impattano su aspetti più o meno rilevanti delle nostre vite.
Penso che un ulteriore elemento da mettere nel terreno condiviso che citavo in precedenza sia la cognizione che impatto e visibilità dell’AI siano due fattori scorrelati… o forse correlati negativamente: vedo tante iniziative di facciata sull’AI, con obiettivi (legittimi) di ritorno di immagine ma scarsi tornaconti effettivi (di efficacia / di efficienza), mentre probabilmente gli impatti maggiori sono in quei casi in cui l’AI c’è, ma resta dietro le quinte.
Conclusioni
Nel mondo del lavoro c’è tantissimo entusiasmo attorno all’AI, in due gruppi abbastanza distinti:
gli addetti ai lavori, i nerd, gli specialisti, che adorano lo sviluppo della tecnologia e delle potenzialità che offre
il resto dei professionisti, dai ruoli più comuni fino ai top manager, che sono affascinati da qualcosa che - lo percepiscono - avrà un impatto sul loro futuro
Tra i vari temi uncool, sicuramente c’è la capacità per chi appartiene al primo gruppo di ascoltare chi appartiene al secondo e gestirne, o meglio ancora indirizzarne, le aspettative.
L’AI, specialmente quella generativa, è ancora un bambino al suo secondo compleanno: rendiamoci conto che l’età adulta arriverà velocemente… ma quel giorno non è ancora oggi, quindi tariamo le aspettative e lasciamo spazio alla crescita e all’innovazione!
Per accuratezza storica, i modelli di AI generativi esistono in realtà da qualche anno in più, basti pensare alle GAN di Ian Goodfellow, del 2014. In questo punto (e anche nel resto dell’articolo) mi riferisco ai modelli di AI generativi di larga diffusione e general purpose.
Grazie, condivido pienamente!