Disincentivi manageriali: headcount e carriera vs. efficienza e competenza
Come ambizione e obiettivi distorti possono portare a risultati indesiderati
Original in Italian; automatic translation into English available here.
Intro
Nel mare magnum di articoli su leadership e managerialità che ripropongono una serie di concetti triti e ritriti, ogni tanto mi capita di imbattermi in qualche perla nascosta.
È il caso di un recente articolo di un ex-Amazonian che mi ha dato più di uno spunto sul motivo per cui molte aziende, nonostante una visione ambiziosa ed un top management di assoluto valore, finiscono col perdersi… e soprattutto finiscono col perdere o non valorizzare al meglio le proprie eccellenze, specialmente nel cosiddetto middle management.
E teniamo a mente che, come dice Simon Sinek:
Middle management is the hardest job in any organization.
Cos’è un disincentivo manageriale
Le grandi aziende sono organismi complessi.
Ed è naturale e fisiologico che, in un’organizzazione gerarchica, le figure di leadership abbiano una visione ad alto livello di quello che succede ai livelli sottostanti.
Da ingegnere, la metafora più adatta mi sembra quella della cosiddetta black box:
Sono noti gli input, ossia quello che serve ad un determinato team o gruppo di lavoro per funzionare
Sono noti gli output, ossia quello che ci si aspetta da quel gruppo di professionisti
È sostanzialmente ignoto ciò che succede all’interno di quel determinato team.
Un team, visto dall’alto, è un po’ come una macchina: so che richiede di agire su acceleratore, volante e freno; il risultato che desidero è che mi porti da un posto ad un altro; ma come funziona il motore o la meccanica è ignoto ai più - ed è giusto così.
Il problema è quando poi si deve valutare questa macchina.
Parlo di disincentivo manageriale quando, nell’impossibilità di capire profondamente il funzionamento di un team, si fissano delle metriche o dei KPI semplicistici che, se da un lato sono perfettamente ragionevoli, dall’altro finiscono con l’essere facilmente hackerabili. Ossia raggiungibili, pur andando nella direzione opposta del loro significato originario.
E amo particolarmente la legge di Goodhart:
Quando una misura diventa un obiettivo, cessa di essere una buona misura
L’efficienza e la competenza convengono?
Per chi lavora da qualche anno nella consulenza o in una grande azienda, le tre frasi seguenti dovrebbero risultare chiare e condivisibili (ma commentate se non la pensate così):
Competenza, capacità e motivazione sono gli elementi che permettono a team numericamente piccoli di fare le stesse attività (magari anche con più qualità) di team grandi
L’efficienza, ossia la capacità di fare più attività con meno risorse (umane, e quindi economiche) è sempre in cima alla lista dei CxO, ossia del top management di un’azienda
La rilevanza di un manager, il suo peso, è tipicamente fortemente correlato, se non addirittura misurato, con il numero di persone che gestisce
Il terzo punto è dettato dalla difficoltà, per il top management, di capire “motore e meccanica” dei team. E dalla ricerca di un numero oggettivo (ma riduttivo) che sia una buona approssimazione della capacità di un middle manager di gestire contesti complessi.
Si vede però subito il disincentivo: da un lato bisognerebbe investire sulla competenza per favorire l’efficienza, ma dall’altro chi riesce a ottenere questi risultati rischia di ritrovarsi con un peso ridotto in un’azienda. E di conseguenza, per chi è competente, skillato e capace di fare andare veloce la propria macchina può diventare più difficile ottenere, per sé e per il team, quel percorso di crescita che porterebbe reali benefici all’azienda nel suo insieme.
Un esempio pratico di risultati indesiderati
Quelle che ho descritto sono dinamiche molto comuni un po’ ovunque nel mondo.
E sono la dimostrazione che essere data-driven è sano… solo se si ha una piena conoscenza dei meccanismi di (dis)incentivazione, nonché di tutte le distorsioni e i bias che possono generarsi1.
Brandon Southern, l’ex senior leader di Amazon che ho citato all’inizio di questo articolo, attribuisce proprio a questo disincentivo la recente ondata di licenziamenti che ha colpito gran parte delle aziende tech, che sta rallentando negli ultimi 2-3 mesi ma è ancora su livelli alti2.
In particolare, Brandon ritiene che i licenziamenti attuali siano in gran parte frutto di overhiring negli anni della pandemia (aspetto che in buona parte condivido e di cui ho già parlato), dettato appunto da un’ambizione sfrenata di alcuni manager che hanno voluto così hackerare il proprio KPI di persone gestite.
Peggio ancora, evidenzia la possibilità di trovarsi in casi in cui l’incapacità e l’inefficienza sono premiate. Cito testualmente dall’articolo originario:
I team più efficienti spesso finiscono per vedersi ridotto ulteriormente il loro budget perché stanno ottenendo buoni risultati con le risorse attuali (mentre altri team vedono aumentare il loro budget o le assunzioni perché sembra che abbiano bisogno di più per operare).
Conclusioni
C’è una via d’uscita? Oppure la competenza e la conseguente efficienza rischiano davvero di diventare delle zavorre in alcuni contesti?
Personalmente non ho ancora trovato una risposta. Sicuramente è importante rendersi conto che il problema c’è.
Sono tante le questioni che si sovrappongono e che richiederebbero lunghe trattazioni. L’uso di KPI ben congegnati è sicuramente sano ed è importante che l’efficienza sia adeguatamente tenuta in considerazione - anche se la legge di Goodhart è sempre in agguato. Ed è anche molto utile ai livelli più alti della gerarchia una buona competenza, perfino tecnica in certi casi, per valutare meglio cosa succede realmente nelle varie aree aziendali - ma sarebbe naif pensare che un leader possa arrivare a capire fino al più piccolo dettaglio.
La riflessione a mio avviso più importante è però un’altra. Cosa porta a cercare di manipolare dei KPI un po' ingenui? O meglio, chi è portato a farlo? Io penso che si debba cercare in quelle che sono le motivazioni più profonde che guidano ognuno di noi, e indiscutibilmente c'è chi è disposto ad usare molta furbizia per raggiungere i propri obiettivi... e chi meno.
Per un’azienda lungimirante, è importante mettere a fuoco questo aspetto: può essere un buon punto di partenza per adottare approcci in cui ad obiettivi sani corrispondano metriche adeguate e non piegabili a interessi di parte.
Ne ho parlato ampiamente anche nel capitolo 4 di Data Culture: https://www.amazon.it/dp/B0BZTCN932. Dateci un’occhiata se non lo avete comprato, mentre se siete tra quelli che lo hanno già letto, spendete due minuti per lasciare una recensione!
Anche considerando che, al momento della scrittura di questo articolo, il Q2 è ancora in corso.
Super interessate. Particolarmente vero nel mondo della corporate america soprattutto lato Nasdaq (obiettivi legati a bonus importantissimi in valore assoluto amplificano la distorsione), tematica irrisolta da almeno trent'anni. Ma anche nel mondo delle startup (eccellenza operativa VS fund raising).
Bell'articolo.